ernesto de martino



Anche se le convinzioni crociane di de Martino si dilegueranno già ne Il mondo magico del 1948, il suo stile di pensiero sarà sempre debitore dalla filosofia da cui ha preso forma. Le successive opere di de Martino risentono di una fortissima influenza di tipo fenomenologico-esistenzialista, oltre che suggestioni provenienti dalla psicoanalisi e dalla parapsicologia.

De Martino si impegna nella ricostruzione della «struttura» del mondo magico, che restava per lui l’unico modo per recuperarlo dalla storia. Questo recupero avrebbe aiutato anche la comprensione dell’Italia di quel tempo, soprattutto di quella appena terminata nel segno distruttivo dei miti irrazionalistici del sangue, della razza e della guerra.

Il mondo magico prende le mosse da un problema epistemologico essenziale: il problema della costruzione della realtà. Scrive infatti de Martino: «Nella nostra esplorazione del mondo magico noi dobbiamo dunque cominciare col sottoporre a verifica proprio il presupposto ‘ovvio’ della irrealtà dei poteri magici, cioè dobbiamo determinare se e in quale misura tali poteri sono irreali. Ma ecco che una nuova difficoltà si fa innanzi... Quando ci si pone il problema della realtà dei poteri magici, si è tentati di presupporre per ovvio che cosa si debba intendere per realtà, quasi che si trattasse di un concetto tranquillamente posseduto dalla mente... Ma per poco che l’indagine venga iniziata e condotta innanzi, si finisce prima o poi col rendersi conto che il problema... non ha per oggetto soltanto la realtà di tali poteri, ma anche il nostro stesso concetto di realtà e che l’indagine coinvolge non soltanto l’oggetto del giudizio ma anche la stessa categoria giudicante.»

In Il mondo magico il distacco da Croce si fa più netto. Diviene in de Martino più esplicita la convinzione secondo cui una realtà storica come quella del mondo magico non poteva essere compresa dall’esterno, dall’alto di una visione ispirata dalle categorie dello Spirito. Il mondo magico andava invece rivisitato dall’interno e una simile rivisitazione doveva avvenire nei termini stessi in cui si era dispiegato il divenire di quest’epoca dello spirito umano. Centrale allora per la comprensione della realtà magica è il concetto di presenza.

«Esserci nella storia significa dare orizzonte formale al patire, oggettivarlo in una forma particolare di coerenza culturale, sceglierlo in una distinta potenza dell’operare, trascenderlo in un valore particolare: ciò definisce insieme la presenza come ethos fondamentale dell’uomo e la perdita della presenza come rischio radicale a cui l’uomo è esposto.»

La presenza è quindi uno stato etico che l’uomo si sforza di costituire per sfuggire all’idea, insopportabile, di non-esserci; è un moto «naturale» dell’uomo che, nel momento stesso in cui compie lo sforzo di essere nel mondo fonda, potremmo dire, la cultura. E’ un moto sofferto ma vitale a cui non ci si può sottrarre se non si vuole essere annientati. Il magismo è il tentativo da parte dell’uomo di affermare la propria presenza nel mondo e lo stregone è la figura centrale di questo «dramma storico».



Bibliografia

Fabietti, U., Storia dell'antropologia, Zanichelli, Bologna, 1991